In volo sulle ali di un mito greco sicano
Santa Elisabetta è un piccolo borgo dei Monti Sicani, adagiato su una suggestiva area collinare, ricca di storia, miti e leggende. Anche se Santa Elisabetta fu fondata nel XVII secolo, le testimonianze archeologiche presenti sulle rupi di Keli e Guastanella che attorniano il paese confermano che l’area fu già abitata in epoca remota. Infatti, sul Monte Keli, che limita a nord l’abitato urbano, sono state ritrovate oltre trenta tombe ad arcosolio d’epoca tardo romana-bizantina. Queste grotticelle sono state ottenute riadattando una preesistente necropoli Sicana risalente al I° millennio a.C. di cui restano alcune tombe a forno nella parte meno accessibile della collina. Tra i numerosi arcosoli che trapuntano la parete settentrionale della rupe, c’è una grande e suggestiva grotta di circa 14 mq con due loculi scavati sul pavimento più altri tre sul fondo: le dimensioni della grotta suggeriscono un suo probabile utilizzo come cappella in età paleocristiana. Negli anni ‘80 è stato rinvenuto un coperchio di sarcofago a timpano con due spioventi: un eccezionale ritrovamento custodito oggi all’interno della Biblioteca Comunale.
In questo scenario di rara bellezza, dove un olivastro millenario sovrasta alcune tombe quasi a custodirle, si può anche ammirare uno degli spettacoli più rari ed affascinanti della natura: i cristalli di gesso giganti che affiorano dalla rupe e che attirano sul Monte Keli esperti e studiosi provenienti da tutto il mondo. Infatti, circa 6 milioni di anni fa, l’evaporazione dell’acqua dell’antico mare Mediterraneo ha prodotto in questo angolo della Sicilia luccicanti cristalli di gesso sedimentario dall’altezza eccezionale di m. 2,60: i più lunghi del bacino del Mediterraneo e fra i più lunghi del mondo.
Considerando l’altezza, la purezza e le eccezionali dimensioni dei cristalli, Monte Keli ha certamente ricevuto l’attenzione dei Romani a partire dall’età Imperiale. Questo tipo di gesso, infatti, proprio per le sue caratteristiche di trasparenza e lucentezza, era chiamato dai Romani lapis specularis (pietra a specchio) : un materiale pregiato e ricercato nel territorio di tutto l’Impero in quanto ottimo sostituto del vetro per finestre di abitazioni e terme o come decorazione ed effetto scenografico nei giochi pubblici grazie al loro particolare luccichio. Ancora oggi, sfiorati dalla luce del sole, questi blocchi cristallini offrono uno spettacolo davvero magico. Tutte queste peculiari caratteristiche fanno di Monte Keli un sito di grande valore geologico, naturalistico e archeologico, dunque, una tappa irrinunciabile per ogni viaggiatore.
La Chiesa Madre, che occupa armoniosamente la propaggine sud della rupe Keli, fu eretta nella seconda metà del XVIII secolo ma, a seguito di alcuni crolli, fu rimaneggiata, ampliata e ricostruita nei periodi successivi. Il bel portale neoclassico sulla facciata in pietra reca sul fregio la scritta: “D. STEPH. O PPD. MDCCXCVI” che attesta la riedificazione della Chiesa già nel 1796 e la sua consacrazione a Santo Stefano Martire. Dopo gli ultimi interventi di consolidamento e restauro, la Chiesa conserva vari oggetti sacri, alcune tele di pregio, come quella raffigurante Sant’Antonio e Santa Rosalia, e il pulpito in legno recante lo stemma nobiliare dei Montaperto.
Il paese di Santa Elisabetta fu, infatti, fondato nel 1620 da Nicolò Giuseppe Montaperto, allora marchese e successivamente principe, di Raffadali. I Montaperto sono tra le casate nobiliari più antiche dell’agrigentino e godettero di privilegi e onorificenze da parte di tutti i regnanti, a cominciare dalla dinastia degli D’Altavilla fino ai Savoia. Pare che i Montaperto fossero arrivati in Sicilia nel XI secolo al seguito del Gran Conte Ruggero offrendo supporto strategico e militare alla conquista Normanna della Sicilia, allora sotto il dominio Arabo. In virtù di tali servigi, i Montaperto ebbero Guastanella, tutte le terre di “Raffadali” ovvero il “Raffo d’Alì”, cioè tutti i possedimenti del capo saraceno della zona, e lo stemma con nove rose divise da quattro bande diagonali che campeggia ancora oggi scolpito sul pulpito ligneo all’interno della Chiesa.
La Chiesa Madre domina il paese in cima ad una caratteristica scalinata: la Scalinata del Poggio, detta anche Scalinata dei Santi o dei Matrimoni. Tra le scalinate che collegavano la sommità del paese alla parte sottostante, questa era la più ampia e la più importante. Essa infatti collegava la Chiesa Madre e il Poggio di Monte Keli alla base del paese. Da cui scendevano sia le principali processioni religiose sia gli sposi dopo la cerimonia nuziale: fino anni ’60 gli sposi solevano scendere e posare per le foto dopo la cerimonia prorio lungo questa scalinata. Oggi questa gradinata, grazie a un progetto di rigenerazione urbana e di recupero di memoria storica ,è stata impreziosita dalla presenza di vasi, piante, decori artistici e foto d’epoca che riattualizzano l’importanza avuta in passato, con le sue casette, cortili e piccole botteghe che su essa si affacciavano creando un atmosfera unica e accogliente in cui sostare, incontrarsi e conversare.
Sulla Via Umberto, poco più vanti della scalinata, si trova un’altra interessante chiesa storica del paese: l’ottocentesca Chiesa di Sant’Antonio. Tra le varie opere presenti all’interno, essa custodisce una antica e pregevole statua d’ebano di S. Giuseppe con Bambino e una pittura su un enorme blocco di pietra incastonato sulla parete destra della chiesa, in forma circolare, riproducente la Madonna Delle Grazie, detta anche, in siciliano, la “Madonna di li putieddi” (la Madonna delle botteghe). Si tratta di un ex-voto, realizzato per la guarigione del proprio figlio da un calzolaio che non aveva mai dipinto in vita sua, al quale era stato chiesto in sogno di eseguire quell’opera. Essendo l’autore del dipinto un umile artigiano, l’ex-voto assunse un valenza talmente popolare da connotare la Madonna raffigurata come protettrice di tutti gli artigiani e dunque di tutte le piccole botteghe (putieddi) del paese.
In fondo alla via Umberto si trova la Piazza San Carlo che rappresenta il centro urbano di Santa Elisabetta. Ristrutturata e rimodernata recentemente, la piazza è ornata da cinque pittoreschi pannelli in ceramica che riproducono il ciclo del grano in omaggio alla grande tradizione agricola del paese. Santa Elisabetta vanta, però, anche una importante tradizione pastorizia, e proprio questa piazza il 6 Gennaio, giorno dell’Epifania, diventa lo scenario principale della “Pastorale di Nardu”: una sagra tra fede e folklore incentrata sul buffo personaggio di Nardu, garzone di pastori che con le sue gesta comiche e irriverenti è al centro di una colorita recitazione che culmina nella preparazione della tradizionale pasta con ricotta condivisa con tutti i partecipanti. Alcuni bei Murales di via Belgio raffigurano le varie fasi della Pastorale di Nardu: un modo per “vedere” questa vivace manifestazione in ogni momento dell’anno.
A due chilometri a ovest del paese, un’altro sito di grande interesse storico-archeologico vi aspetta sul Monte Guastanella: una rupe d’aspra bellezza che domina una vastissima area. Su di esso si trova una antica necropoli e ciò che resta di una roccaforte ricavata in parte nella roccia: il Castello di Guastanella. Il Castello rupestre era una fortezza araba, nata su un antecedente fortilizio bizantino, probabilmente a sua volta edificato su una precedente costruzione greco-punica e forse, ancor prima, su un presidio d’avvistamento protostorico. Unica nel suo genere, questa roccaforte millenaria, passata nei secoli come un testimone fra varie civiltà, fu espugnata nel XI secolo dai Normanni che posero fine all’egemonia saracena in Sicilia. Il Castello di Guastanella fu usato ancora dai musulmani come roccaforte e prigione quando insorsero contro Federico II di Svevia.
Qui fu, infatti, imprigionato il vescovo di Agrigento Ursone e rilasciato dopo molti mesi dietro lauto riscatto. Tra il 1221 e il 1232 Federico II, tornato in Sicilia dopo aver vinto la guerra in Germania contro Ottone IV di Brunswick, sconfisse gli arabi rivoltosi e distrusse la fortezza di Guastanella: le strutture meglio conservate sono oggi due camere ipogeiche, una cisterna coperta a botte e un silos scavato nella roccia.
Forse su questa rocca aguzza e quasi inaccessibile di Monte Guastanella sorgeva la mitica e mai trovata Kamikos: l’impenetrabile roccaforte eretta dal leggendario architetto greco Dedalo per il re Sicano Kokalos in segno di riconoscenza per averlo salvato dalle ire del grande re cretese Minosse. Al di là del mito di Dedalo, Minosse e Kokalos, le influenze della cultura minoico-micenea nell’area furono evidenziate intorno al 1930 dall’insigne archeologo Paolo Orsi. Recentemente l’archeologa Rosamaria Rita Lombardo, prendendo spunto da una millenaria tradizione orale del luogo, da alcune evidenze topografiche e da alcune riflessioni annotate nei taccuini di Paolo Orsi, ha ipotizzato che Guastanella possa essere davvero la mitica cittadella di Kamikos nonché il luogo del leggendario Mausoleo di Minosse: assassinato con l’inganno durante un bagno ristoratore nella reggia di Kokalos, dopo essere approdato sulle tracce di Dedalo nella costa dei Sicani, tra i lidi della Foce del Platani.
Santa Elisabetta: distanza da Agrigento 23 Km circa
I contatti sotto riportati riguardano enti e associazioni che offrono informazioni e servizi al turista.
Comune di Santa Elisabetta: Centralino
+39 092245911
G.S.S.E – Gruppo Speleologico Santa Elisabetta: info e prenotazioni escursioni su Monte Guastanella
+39 470065 / +39 3384931858
Comune di Santa Elisabetta: le coordinate sotto riportate individuano il Castello di Guastanella.
Le icone sulla mappa individuano punti di interesse e servizi utili: visualizza a schermo intero la mappa e clicca sulle icone per visualizzare le informazioni.
GPS
N 37° 25' 44.26''
E 13° 31' 33.28''
Google maps
37.42896, 13.52591
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